Il grande quaderno Book Cover Il grande quaderno
Trilogia della città di K.
Ágota Kristóf
Narrativa
Einaudi
1986
Tascabile
137

In una città mai nominata giunge una donna che si reca dalla propria madre portando i suoi due gemelli in età preadolescenziale. Lo scopo è quello di risparmiare loro i disagi della guerra, affidandoli alla vecchia, odiata da tutti nel paese e sospettata di aver avvelenato il proprio marito anni prima senza però mai aver scontato alcuna pena. La nonna accetta, ma tuttavia sbeffeggiando e maltrattando la figlia, che torna nella "grande città", idealmente Budapest. I due gemelli, inseparabili in ogni momento della giornata, crescono tra l'odio della nonna e gli esercizi a cui si sottopongono per non destare in loro la sofferenza della separazione e della situazione in cui si trovano.

Raccontare il mondo di Ágota Kristóf è tanto complesso quanto affascinante. Vi abbiamo parlato qui del suo stile e di come sia riuscita a ottenere un modo di narrare così asciutto e diretto. Qui invece vi vogliamo parlare del primo libro della Trilogia della città di K., Il grande quaderno.

«A forza di ripeterle, le parole a poco a poco perdono il loro significato e il dolore che portano si attenua.»

Il grande quaderno apre uno squarcio sui dolori della guerra, raccontandoli attraverso lo sguardo ingenuo, ma disincantato, di due fratelli gemelli, che conservano le loro storie. Così, grazie alle loro parole, riusciamo a conoscere la loro famiglia, la casa, i vicini, la gente della città. Piccoli episodi suddivisi in brevissimi capitoli che colpiscono per la narrazione realistica e lo stile tagliente.

Il grande quaderno è, prima di tutto, una storia di amore tra fratelli. Due bambini inseparabili, ancora più uniti dal pericolo della guerra.

In secondo luogo, è una storia di abbandono. Abbandono di un padre e di una madre, abbandono volontario o obbligato. Abbandono delle sicurezze, di una vita spensierata che non tornerà più.

Terzo, è una storia di sopravvivenza. Ágota Kristòf riesce a dar vita con le parole al mondo unico dei bambini, e a trattarlo non come narrazione d’infanzia, ma di crescita e coraggio. I due fratelli, a soli nove anni, sono costretti a imparare quanto la vita possa essere crudele e ad agire di conseguenza, pur di sopravvivere. Lasciando entrare il crudele mondo degli adulti dentro di sé.

«Siamo nudi. Ci colpiamo l’un l’altro con una cintura. Diciamo a ogni colpo:

– Non fa male.

Colpiamo più forte, sempre più forte. Passiamo le mani sopra una fiamma. Ci incidiamo una coscia, il braccio, il petto con un coltello e versiamo dell’alcol sulle ferite. Ogni volta diciamo:

– Non fa male.

Nel giro di poco tempo non sentiamo effettivamente più nulla. È qualcun altro che ha male, è qualcun altro che si brucia, che si taglia, che soffre. Non piangiamo più.»

Ultimo, ma non meno importante, è una storia di sofferenza, di quella che ti strazia il cuore, ti logora l’anima, ti cambia per sempre.

Ma partiamo dall’inizio. Cos’è il grande quaderno? È il quaderno che utilizzano i due fratelli per allenarsi a scrivere ciò che vedono nel mondo, per continuare a studiare anche quando la guerra ha portato via la scuola e gli insegnanti. I capitoli in cui viene suddiviso il romanzo sono quindi i “temi” che i fratelli realizzano su vari argomenti a loro scelta. La Mamma. La Nonna. Esercizio di digiuno. Il furto. E così, una dopo l’altra, vediamo scorrere velocemente tutte le più importanti esperienze di due piccoli autodidatti disposti a tutto pur di sopravvivere.

Nonostante i capitoli siano brevi e apparentemente indipendenti tra loro, il libro non manca di una trama (appassionante) e di uno svolgimento temporale ben definito. L’io narrante è in realtà un noi, come a voler sottolineare il legame di dipendenza che i due gemelli hanno instaurato. Non esiste lui, o io. Non esiste separazione. Tutto è noi, o loro. Noi, contro il resto del mondo.

La disperata ricerca dei protagonisti di una mitologica “verità dei fatti” che si mostri narrabile, di un ordine logico delle cose che aiuti a giustificare gli eventi e di un apparente equilibrio del mondo, sembra nascondere un disperato bisogno di razionalizzare gli orrori inenarrabili della guerra.

Ci si lascia accompagnare così, capitolo dopo capitolo, verso un finale crudele, freddo e calcolato, rendendosi conto solo alla fine che dei due gemelli si sa poco nulla, se non ciò che appare, ciò che è dimostrabile, visibile e narrabile.

«Scriveremo: “Noi mangiamo molte noci”, e non: “Amiamo le noci”, perchè il verbo amare non è un verbo sicuro, manca di precisione e di obiettività. “Amare le noci” e “amare nostra Madre”, non può voler dire la stessa cosa. La prima formula designa un gusto gradevole in bocca, e la seconda un sentimento.

Le parole che definiscono i sentimenti sono molto vaghe, è meglio evitare il loro impiego e attenersi alla descrizione degli oggetti, degli esseri umani e di sé stessi, vale a dire alla descrizione fedele dei fatti.»

Un libro doloroso, straziante, che una volta finito si ha voglia di rileggere dall’inizio. Una storia amara che lascia un vuoto incolmabile e un profondo senso di tristezza e di speranza.

Alessandra Grohovaz

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