
Narrativa
CreateSpace Independent Publishing Platform
2016
Cartaceo o Kindle
248

Livia ha trent’anni, vive ancora con la madre e non è certa di quali siano le sue priorità. Quando Patrizia Melis le offre un lavoro come giornalista all’interno di un Istituto per disabili, a milledue al mese, lei accetta. L’ufficio grigio in cui lavora è solo una parte del mondo dei matti che la circonda.
Un’eccellente opera prima per Stefania Culurgioni
Livia ha trent’anni, vive ancora con la madre e non è certa di quali siano le sue priorità. Quando Patrizia Melis le offre un lavoro come giornalista all’interno di un Istituto per disabili, a milleduecento euro al mese, lei accetta. L’ufficio grigio in cui lavora è solo una parte del mondo dei matti che la circonda. Vite da raccontare e dolori da buttare fuori, storie di libertà negata o ottenuta a caro prezzo. Racconti di felicità offuscata da giudizi non richiesti e da termini appiccicati alle esistenze degli altri solo per far stare bene quelle di chi li usa.
L’istinto delle falene è un’opera prima di Stefania Culurgioni, che ne tesse la struttura in modo attento e preciso, senza ghirigori o parole edulcorate, viaggiando a vele spiegate verso il raggiungimento di una consapevolezza condivisa tra lettore e protagonista. La sua straordinaria abilità risiede nel fatto che ogni personaggio è libero dai filtri del pregiudizio e che questa assenza di condizioni venga trasferita anche sul lettore. Non è affatto facile rendere solo i fatti in grado di esprimersi direttamente per conto di una voce, mostrare senza dire esplicitamente se qualcuno è o non è contrario alla morale comune. Poche penne ci riescono, e fra queste una è stata quella di Ryan Murphy con il personaggio di Becky in Glee, per cui senza troppi giri di parole si riesce a provare un vero e proprio senso di disappunto, indipendentemente dalla sua disabilità.
Un altro merito è quello di aver epurato dalla visione della protagonista il senso di pietà per l’essere umano. La pena e la pietà non sono opzioni previste quando pensiamo a qualcuno: gli tolgono ogni possibilità di riscatto, e se per chi le prova sono un porto sicuro dove rifugiarsi per non assumersi delle responsabilità, per chi ne è vittima sono la capsula di un cliché che serve solo ad alleviare il senso di colpa. Per Livia, la pena ha un retrogusto negativo ed è annidata alla fine di quello strano processo per cui le condizioni imposte non lasciano la libertà di scelta. La pietà non tace l’apertura di interrogativi personali, anzi si fa da parte per fare in modo che il libro sia un dialogo intimo con se stessi, un dibattito affollato sul valore del tempo, dell’ascolto, delle differenze.
Ci si interroga molto durante questa lettura, ci si arrabbia, si sorride, si sgranano gli occhi o si storce la bocca se la morte di un bambino viene definita una grazia di Dio e non l’ingiustizia per un destino incompiuto. Un blocco di pagine compatte che, nonostante il tema, scivolano senza indugiare e affrontano, con il solo coraggio che contraddistinguono certe firme, la questione dell’identità umana con tutti i mezzi possibili, e ottiene un risultato eccellente se poi, arrivati all’ultima pagina, avresti voglia di saperne ancora di più.
Chiara Tamburini